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Assemblea Nazionale dei Presidenti dei Consigli provinciali a Venezia
Il documento UPL e l'intervento del Presidente della Consulta Mariani

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Nell'Assemblea Nazionale dei Presidenti dei Consigli provinciali svoltasi a Venezia lo scorso 20 marzo, ancora una volta si é rivelato particolarmente significativo il contributo ai lavori di UPL e dei Presidenti lombardi.

La Consulta infatti, dopo la riunione di Brescia del 27 febbraio, ha approvato il documento "Contributo della Consulta UPL dei Presidenti dei Consigli provinciali sugli schemi disegno di legge di riforma degli Enti locali" (on line nella sezione "Documenti") che é stato ampiamente recepito nel Documento finale dell'Assemblea.

I contenuti del documento sono stati illustrati dal Coordinatore della Consulta Roberto Mariani (Presidente del Consiglio provinciale di Cremona) nel suo intervento nell'assise nazionale, anche a nome dei colleghi lombardi.

Mariani ha sottolineato come l'appuntamento di Venezia si sia inserito in una fase estremamente importante per il futuro e il riassetto istituzionale degli Enti locali in generale del nostro Paese. "Si sta discutendo di Carta delle Autonomie ed è stato approvato da un ramo del Parlamento il federalismo fiscale, provvedimenti importanti e necessari per il sistema autonomistico italiano ma che proprio per questo non possono non essere oggetto di un confronto serio, oltre che con le forze politiche, anche con il mondo stesso delle Autonomie, stringendo una sorta di “patto di fondazione” con chi nelle Autonomie locali vive ed opera".
Secondo Mariani, non si può pensare a un insieme di regole senza che alla loro stesura partecipi chi queste regole le dovrà poi applicare, poiché una riforma é tanto più forte quanto più intorno ad essa vi sono una partecipazione e un consenso i più ampi possibile, che tenga conto delle varie sfaccettature e ricadute che tale riforma ha e può avere. "Ciò non significa", ha aggiunto Mariani, "preservare nicchie di potere, ma al contrario impostare una vera riforma che risponda all’esigenza di uno snellimento della Pubblica amministrazione, consentendo agli Enti locali di avere strumenti e autonomia per dare risposte rapide e concrete ai cittadini, alle imprese, alle categorie economiche per la crescita dei territori".

Il Coordinatore della Consulta ha ricordato in proposito lo spirito dell’iniziativa di mobilitazione nazionale del 30 gennaio scorso, partendo dal titolo “Giornata della partecipazione – costruiamo insieme il nuovo sistema paese”, affinché fosse chiaro a tutti che lo scopo non era difendere semplicemente lo stato attuale dell’ordinamento dello Stato e in particolare l’esistenza delle Province così come sono oggi.
"Ecco perché", ha continuato Mariani, "vorrei tuttavia affermare e confermare che l’Assemblea di oggi, come del resto l’iniziativa del 30 scorso, non vuole essere una difesa corporativa delle Province né tanto meno di un qualche potere, che oggi tutti noi abbiamo e domani chissà. Anzi, dico subito, certo di interpretare un sentimento larghissimamente diffuso fra gli amministratori, che se la richiesta di mantenere e valorizzare le Province come enti intermedi dovesse anche solo sembrare quella del mantenimento puro e semplice di luoghi di potere, allora sarei il primo a invocarne l’abolizione.
Quello che noi chiediamo, invece, è di diventare parte attiva, ascoltata, coinvolta, nel processo di progettazione e realizzazione della riforma dell’ordinamento dello Stato, a partire naturalmente dalla riforma costituzionale del 2001 e dalla stesura del Codice delle Autonomie.
Nel 1990, con la legge 142, iniziò un periodo di riforme della pubblica amministrazione e degli enti locali, che attraverso numerose altre leggi ha portato fino alla riforma del Titolo quinto della Costituzione. Ebbene, tutti questi passaggi hanno previsto in modo più o meno esplicito non solo l’esistenza, ma la valorizzazione delle Province e la riforma costituzionale ne ha sancito definitivamente e con grande nettezza il carattere di ente territoriale di area vasta autonomo costituzionalmente necessario".

Mariani ha infatti osservato che "la Provincia delle strade, dei manicomi e della caccia non esiste più. Non esiste nella legislazione e soprattutto non esiste più nella pratica quotidiana delle nostre amministrazioni, che negli ultimi 15 anni hanno assunto sempre maggiori compiti e funzioni amministrative sia proprie che conferite e delegate dallo Stato e dalle Regioni. Vale la pena di citarne almeno alcune, perché tutti ci si renda conto che non si tratta di funzioni minime o residuali, ma al contrario di compiti strategici e fondamentali per il governo e lo sviluppo del territorio: il lavoro, l’istruzione e la formazione professionale, l’agricoltura, l’urbanistica per gli aspetti di area vasta, la difesa del suolo e dell’ambiente, lo smaltimento dei rifiuti, la viabilità e i trasporti, il turismo, la protezione civile, la manutenzione delle strade, vasti aspetti dell’attività culturale.
In questi anni le Province sono state completamente trasformate in un Ente sempre più forte e radicato nel territorio, sempre più legato e sinergico con i Comuni e gli attori dello sviluppo economico e sociale. E sempre più vicino alla Regione: anche se purtroppo si nota sempre più da parte delle Regioni una logica neocentralistica nella quale sembrano a volte indugiare, è innegabile che numerosi passi avanti sono stati fatti sul terreno della concertazione e della valorizzazione delle capacità dei singoli territori di darsi gli strumenti di intervento più prossimi e più in sintonia con i territori stessi".
A testimonianza di tutto ciò, il Presidente ha citato i vari Patti per lo sviluppo, grandi azioni corali dei territori per immaginare il proprio futuro, l’Aqst firmato con la Regione, i Piani d’area che coinvolgono numerosi Comuni, i sistemi teatrale, museale e bibliotecario, le aree industriali sovracomunali che sono un’esperienza originale a livello nazionale. Tutti percorsi intrapresi attraverso il metodo della contrattazione aperta, della concertazione e della condivisione con il territorio e le sue espressioni economiche e sociali.

"Sarebbe possibile tutto questo senza le Province, senza cioè quegli enti intermedi fra le Regioni e i Comuni, che non sono solo le metropoli o i capoluoghi ma quell’infinità di enti piccoli e piccolissimi che formano il tessuto connettivo del nostro paese? Saprebbero dei semplici, seppur valenti, funzionari pubblici affrontare questi aspetti che sono di relazione, di coinvolgimento, con la necessaria sensibilità politica, ed uso questo termine nel suo senso più alto? E’, quello in atto, solo un tentativo di svuotare di contenuti un vero federalismo istituzionale e fiscale o di restaurare vecchie logiche centralistiche?", sono le domande poste da Mariani che ha quindi osservato che "fra le motivazioni addotte contro l’esistenza delle Province vi è quella, di facile presa, dei costi delle nostre istituzioni. Al di là della risibilità, ed uso volutamente questo termine forte riferendomi alle nostre Province, dei costi per il funzionamento degli apparati amministrativi e politici (il costo del Consiglio provinciale è inferiore allo 0,3% delle spese correnti, e di che casta si parla se i nostri Consiglieri, per un lavoro impegnativo che non si limita alla partecipazione alle sedute consiliari, ma comprende il lavoro nelle commissioni e quello necessario di conoscenza e rapporto con il territorio, percepiscono emolumenti mediamente inferiori ai 500 euro mensili lordi?), se il problema è questo, lo si affronti: si riduca il numero dei Consiglieri e degli Assessori se si ritiene, si renda omogeneo il trattamento degli eletti e dei nominati a parità di dimensioni degli Enti".

Mariani ha poi ricordato che l’amministrare deve essere attività di risposta ai bisogni e non semplice conto ragionieristico fra il dare e l’avere.
"Alcune forze autorevoli e influenti, fra le quali Confindustria, hanno sostenuto che le Province sono enti inutili e fonte di sprechi, quindi da abolire. E’ assolutamente giusto che gli operatori economici, ma anche tutti i cittadini, chiedano con forza un’amministrazione pubblica più snella, meno farraginosa, più “amica”, che rispetti i tempi dell’economia e della vita. Questo è un impegno e una promessa da mantenere.
Ma posto che ai bisogni si dovrebbe comunque rispondere, i servizi andrebbero erogati, gli investimenti realizzati, sono certe queste forze di trovare magari in un’agenzia, o in commissari o commissioni variamente denominati un interlocutore più attento, più sensibile, più rapido ed efficiente? L’ex ministro Bassanini, uno dei padri della riforma della Pubblica Amministrazione in Italia, sostiene in una recente intervista che al contrario ciò provocherebbe più difficoltà di quante ne risolverebbe.
Inoltre il risparmio a quel punto si limiterebbe semplicemente all’abolizione degli organismi elettivi? Mi sembra un po’ poco.

Mariani ha infine concluso che "oggi la vera domanda é se sia utile e necessaria l’esistenza degli organismi elettivi in Enti intermedi come le Province. La Costituzione dà una risposta inequivocabilmente positiva e credo giusta. Non vedo altri strumenti, o comunque non ne vedo di migliori, per dare corpo a quel controllo popolare sulla Pubblica Amministrazione che è, alla fine, la democrazia. C’è, da parte di qualcuno, la volontà di allontanare dai territori il controllo popolare. E il disegno centralistico si afferma nel lasciare sì ai Comuni la gestione dei servizi di prossimità, ma ingabbiandoli sempre più in patti di stabilità nei quali il Governo, o anche la Regione, dicono non solo quanto dovranno spendere, ma come e dove dovranno farlo, limitando di fatto quell’autonomia e quell’autarchia riconosciuti dal diritto amministrativo e dalla Costituzione.
Ecco allora l’importanza di questa nostra Assemblea nazionale: siamo noi, in prima persona, ad essere propositivi e in grado di avanzare proposte concrete e coraggiose riguardo all’ordinamento istituzionale e alla semplificazione della pubblica amministrazione, a partire da noi stessi.
Ho già detto del numero dei Consiglieri e degli Assessori, sui quali l’Upi ha da tempo dichiarato la disponibilità a discutere. Dobbiamo aggiungere che sono sbagliate, e da respingere con decisione, le richieste di costituzione di nuove Province, a volte avanzate da rappresentanti di quelle stesse forze che magari in altre sedi ne chiedono l’abolizione. Così penso, e ciò è condiviso da molti, che sia importante accelerare la costituzione delle Città metropolitane che, ove costituite, vedano l’abolizione della Provincia e del Comune capoluogo.
Dobbiamo anche essere in grado di discutere e avanzare proposte in merito a un eventuale ridisegno dei confini provinciali, in modo da garantire dimensioni minime al di sotto delle quali diventerebbe difficile garantire efficienza ed efficacia amministrativa. E soprattutto dobbiamo avanzare proposte sulla definizione di ruoli e competenze specifici da attribuire ai diversi livelli istituzionali, per evitare duplicazioni e semplificare davvero la vita ai cittadini.
Ma dobbiamo anche entrare “in casa d’altri”, per così dire, e chiedere che vengano affrontati i temi dell’organizzazione parlamentare, dei Consigli regionali; dobbiamo avanzare proposte circa l’abolizione di quegli enti di secondo livello che oggi possono rappresentare, anziché un positivo decentramento, un freno ad una pubblica amministrazione che vuole essere semplice e facilmente utilizzabile. Mi riferisco a numerose agenzie nazionali e regionali, a molti consorzi, agli Ato e, perché no, a una profonda riforma, se non all’abolizione, delle Prefetture. In buona sostanza penso a quegli enti non elettivi che difficilmente rispondono al popolo sovrano e che altrettanto difficilmente sono sottoposti a verifica dei risultati raggiunti.
Spero sia chiaro il senso del mio ragionamento: ribaltare la logica delle Province, quando non dell’intera Pubblica Amministrazione, vista semplicemente come un costo, per tornare a ragionarne in termini di risorsa: a volte dormiente, a volte nascosta e imbrigliata in troppe gabbie, in troppa autoreferenzialità, che non sono però appannaggio delle sole Province, ma risorsa che deve essere riconosciuta, razionalizzata e soprattutto valorizzata.
Per questi motivi sostenevo in apertura del mio intervento come sia importante, da parte del Governo, un ascolto vero degli Enti locali, che non si limiti a un gesto per sentirsi la coscienza a posto, ma che sia un ascolto vero e mirato a costruire una riforma per e degli enti locali.
Ripensare il sistema locale credo richieda l’esercizio di una responsabilità comune molto forte. Si può portare avanti questo disegno autonomistico a condizione che sappiamo renderlo un disegno responsabile, senza figli o figliastri, vincitori o vinti, ma che sia capace di soddisfare i cittadini.
La questione della qualità dell’amministrazione, della sua trasparenza, della sua capacità di risposta diventano così vere e proprie questioni civili, legate alla coscienza civile di ognuno di noi.
La confezione di una Carta delle Autonomie locali deve essere frutto di una riflessione comune, e questo disegno potrà realizzarsi se sarà soprattutto il frutto di un lavoro comune, perché la responsabilità nei confronti dei cittadini è una e una sola, ed è quella di tutti i livelli di governo, nessuno escluso".


Milano, 27 marzo 2009